
La gestione del tariffario e del pricing delle prestazioni è una delle questioni più importanti che deve affrontare uno Studio Odontoiatrico, sia quando decide di avviare le sue attività che quando decide di ripensare la propria crescita in un’ottica di sviluppo del business.
Strategie di Pricing per uno studio dentistico
Le principali teorie di pricing ascrivono alle seguenti 5 strategie i modelli adottabili pressoché in qualunque settore del mercato, compreso quello dei dentisti.
- Modello Mark-up (incremento percentuale del costo sostenuto per la produzione)
- Modello dei Prezzi Correnti (prezzo allineato su quelli della concorrenza)
- Modello del Profitto Obiettivo (prezzo modellato per il raggiungimento di un livello atteso di profitto)
- Modello della Massimizzazione delle vendite (per entrare in un mercato competitivo)
- Modello del Bene di Lusso (prezzi elevati, per scremare la clientela)
Fra questi, il modello certamente più adottato dagli studi dentistici è quello del Profitto Obiettivo. Si tratta di un modello strettamente legato al merito professionale che, pur facendo riferimento ai costi di produzione, calcola il profitto in relazione a variabili intangibili come la difficoltà della prestazione, il suo rischio, la professionalità di chi la esegue e la tecnologia impiegata.
A prescindere dal modello scelto e adottato è importante che la decisione relativa al pricing non sia adottata semplicemente “imitando” i colleghi più esperti, ma scelta con attenzione sulla base della propria individualità e del proprio specifico contesto.
Come scegliere allora il tariffario da adottare nel nostro studio odontoiatrico?
Costi fissi e costi variabili dello studio odontoiatrico
Un primo concetto da chiarire, spesso dato per scontato, è quello dei costi dello studio.
I costi fissi si definiscono tali in quanto non subiscono variazioni rispetto alla produzione dello studio: indipendentemente dal fatto che le nostre poltrone siano piene tutti i giorni o meno possiamo stimare con una certa approssimazione quelle spese che dovremo comunque sostenere alla fine dell’anno. Stiamo parlando, per esempio, degli stipendi dei dipendenti, della tariffa del commercialista o dal premio dell’assicurazione.
Al suo interno i costi fissi sono suddivisibili in due sottocategorie: i costi fissi diretti e i costi fissi indiretti. L’acquisto di strumentazioni e apparecchiature è il classico esempio di costo fisso: quando decidiamo di acquistare una nuova poltrona o un microscopio operatorio sappiamo che andremo incontro a tale spesa indipendentemente dal volume della nostra attività. Il microscopio è pero da considerare un costo fisso diretto in quanto è utile all’esecuzione solo di alcune prestazioni, è direttamente riferibile solo all’attività di endodonzia. La poltrona viceversa è un costo fisso indiretto in quanto necessaria a tutte le prestazioni dello studio, non vi è attribuzione specifica.
I costi variabili al contrario sono strettamente correlati al numero ed alla tipologia di prestazioni eseguite e possiamo sommariamente suddividerli in:
- costi del materiale monouso
- costi del laboratorio (ovvero il costo dell’odontotecnico in tutti i casi in cui sono necessarie protesi e ortodonzia)
- costi dell’operatore (onorario del professionista, igienista o odontoiatra, che esegue la prestazione sul paziente)
È difficile al giorno d’oggi che i dentisti, presi dalla quotidiana attività clinica, si fermino a calcolare e ad interrogarsi sull’ottimizzazione dei costi variabili. Ma è altrettanto evidente quanto un’operazione del genere possa giovare allo sviluppo del business, se curata con la dovuta attenzione.
Determinare il tariffario dello studio
Da questa prima valutazione potrebbe sembrare semplice comporre il tariffario: prendiamo la somma dei nostri costi di prestazione, vi aggiungiamo il profitto che vogliamo ottenere per ogni singolo intervento, e ricaveremmo una prima stima orientativa del nostro listino ufficiale.
La realtà dei fatti è un po’ diversa… perché esiste il margine di contribuzione.
Il margine di contribuzione: questo sconosciuto
Metrica di riferimento nello sviluppo di business dei più disparati settori, il margine di contribuzione è troppo spesso ignorato negli studi dentistici italiani mentre la sua valutazione potrebbe portare innumerevoli benefici.
Il margine di contribuzione di 1° livello è pari alla differenza tra ricavi e costi variabili necessari per produrli: può essere calcolato sia a livello di singola prestazione che in riferimento alla totalità delle attività.
Tutto molto interessante ma a cosa possono essere utili questi valori?
Immaginiamo che per l’esecuzione di una prestazione abbiamo stabilito una tariffa pari a 100 euro. Andando a stimare i nostri costi variabili (70 euro) e costi fissi (40 euro) otterremmo invece una somma di 110 euro. Ad un primo sguardo questa sembra una prestazione da NON eseguire: la tariffa non copre nemmeno i costi! Se però andiamo a calcolare il margine di contribuzione (100-70=30), vedremmo che è positivo. Questo è un segnale importante perché:
- una prestazione che presenta un margine di contribuzione positivo deve essere sempre erogata, anche a fronte di un risultato economico negativo. Questo perché il margine contribuisce ad abbattere i costi fissi annuali: anche una manciata di euro sono sufficienti ad aiutare la causa, perché solo una volta che avremo coperto i nostri costi fissi cominceremo a guadagnare davvero.
- una prestazione con un margine di contribuzione negativo è invece certamente da NON eseguire: si tradurrà certamente in una perdita.
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Sapevi che esiste anche un margine di contribuzione di 2° livello, che ti potrebbe aiutare a stimare la convenienza di un investimento importante in relazione alla redditività di una determinata branca della tua attività?
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